Mariateresa Biasion Martinelli
Opera 1^ classificata
Madre
Madre,
quante volte era l’urlo del vento
a portarmi parole mai dette,
come aceto su acerbe ferite.
Madre,
quante volte era il sussurro
del salice antico
a cantarmi ninne nanne dimenticate.
Madre,
quante volte
era il sospiro del tempo
a ricordarmi un amore celato
dalle ceneri di anni lontani.
Madre,
oggi è il silenzio delle stelle
sul ciglio del cielo
a ridarmi la nostalgia
che credevo perduta,
nostalgia di una mamma bambina.
Madre,
mai come ora che sei partita
per un viaggio senza ritorno
ti penso… ti chiamo…
Risponde soltanto
l’urlo del vento
e il sussurro dei rami
del salice antico.
Lucianamaria Curti
Opera 2^ classificata ex aequo
Parole come graffiti
Parole come graffiti,
incise a forza su pagine bianche.
Parole che scaldano il cuore,
ma ribelli, come animali selvatici.
Rotolano
su geometriche asperità.
Scavalcano montagne,
scivolano pianure,
sprofondano in un mare
che ha il sapore della libertà.
Parole nate
per raccontare,
una vita oltre lo specchio.
Si inceppano, come meccanismi rotti,
stridono note altissime,
per non farsi dimenticare.
Parole sussurrate,
come segreti,
in un intimo silenzio,
solo sfiorate, mai svelate
all’immaginario dei più.
Parole rubate,
sottratte con prepotenti inganni
travestiti da amore.
Parole che vibrano,
come cicale, in estate.
Ancor prima di nascere,
vivono, nella nostra unica essenza.
Donatella Destro Fontana
Opera 2^ classificata ex aequo
Nonna Lomellina
Fumava la roggia
al tiepido sole
e specchiava curve spalle
sul lindo bucato.
Imporporava il niveo volto
l’aria frizzante del mattino,
che avvalorava la bellezza
dell’eterno sorriso.
Traspariva dalle ceree mani
l’azzurro del cielo,
che colorava la voce
con un allegro ritornello.
Cigolavano le ginocchia
appoggiate a lungo sulla riva,
ma solerte era il passo
al greve secchio di alluminio.
Dolce immagine
raccolta nel tondo scialletto grigio,
fugace come l’armonia
di uno sguardo tanto amato.
Paola Bonaretti
Opera 4^ classificata
Borgo antico in Tuscia
Creste aguzze
di bianchi calanchi
fendono,
come taglienti lame
di vetuste spade,
le pareti rocciose
di un monte
dominante
un dolce declivio.
Sulla sua sommità,
un borgo antico
si erge,
abbracciato
da possenti mura
di medievali fattezze,
e si protende al cielo,
qua e là, screziato
da roventi nubi,
a memoria
di un remoto,
sanguinoso tempo.
Tempo
di fieri cavalieri
in armi,
di intestine
e cruente lotte,
di ardite tenzoni
per agognati ideali,
sacri e profani.
In ogni anfratto,
di bigi viottoli
e porticati austeri,
il respiro di un anelato,
storico passato,
rievocato con epica,
nostalgica emozione.
Giuseppe La Rosa
Opera 5^ classificata ex aequo
Non ho contato i tuoi giorni…
a Luca
Non ho contato i tuoi giorni,
quindici hanno detto,
con le mani strette su una sbarra di letto
ad accartocciarmi come una foglia riarsa
e a piangere tra pensieri strozzati, sputati dalla mia anima in pena
sulle pareti bianche d’una camera d’ospedale.
Non ho sentito la reliquia della mia vita,
stagnante nell’afa,
mischiare sangue e rancore in una battaglia senza esclusione di colpi
trasudante una memoria desolata, umiliata, effimera;
come avrebbe fatto un padre.
Ho però percepito la tua armonia.
In una sera di mare che ribolliva in faccia,
coi riflessi rosa del cielo a fregiare la terra,
socchiudendo le palpebre,
nell’attimo breve dell’approdo al varco che congiunge realtà e verità,
m’ha ghermito un vento caldo e chiaro
che ha scosso in un fremito le ossa e la carne.
«Anencefalo» sentenziarono, come a sancire una sconfitta irreparabile.
Diedero il tuo cuore per la vita di un altro bimbo.
«Anencefalo» dissero, un corpo senz’anima “fabbricato” per altri.
Eppure, in un attimo lungo un’eternità,
senza che io sappia dire il perché,
mi parlasti di te colmo della calda luce del Creatore,
come un piccolo presepe che riempie le fredde notti di dicembre.
Vittorio Di Ruocco
Opera 7^ classificata ex aequo
Salvifica presenza
Adesso che trapasso l’infinito
raggeli le mie croniche illusioni
con la tua voce frusta e indefinita.
Ed io nocchiere perso all’orizzonte
resto aggrappato a un sogno meridiano
nel mare tuo dolente e disperato.
E scalo le corone della mente
le vorticose spire del passato
in cerca di una rara tenerezza
capace di destarmi dall’oblio
di me che ornato delle tue sembianze
m’avvivo e corro a vincere i tuoi occhi
con i colori delle mie parole.
Ma come scafo presto e dispettoso
nascosto da una coltre di silenzio
dispieghi le tue vele a un cieco vento
che non lascia speranza al tuo ritorno.
Io vago intanto, anima dannata,
in cerca del più flebile spiraglio
della più fioca luce che mi annunci
la fine di quest’orrido supplizio.
Ma se mi concedessi il tuo sorriso
e mi lasciassi in dono una carezza
forse potrei lenire la mia pena
strappando dal mio petto il rio dolore
che strugge la più piccola speranza.
Saresti tu, salvifica presenza,
a trascinarmi con la tua bellezza,
beffarda, ineluttabile e fatale,
nel gorgo luminoso di quei giorni
che seppero dar vita alla mia vita
prima ch’io sprofondassi nell’inferno.
Daniele Neri
Opera 7^ classificata ex aequo
Golgota
Il giorno in cui mi cadde il respiro
mi trovai a trascinare una croce
su una salita di cui non vedevo la fine.
Calda era la mia fronte,
bollente sotto un sole freddo
in uno spazio bianco tragico e sconosciuto,
sognando di esser tornato bambino
in una orrenda culla .
Il casco era una corona di spine,
un fuoco ardeva tra le mie costole e
ogni rumore era un chiodo nel cervello.
I pensieri si susseguivano privi di logica
diretti a me stesso, a te, a voi,
a tutto e al nulla.
Dolore profondo, aghi nelle vene.
Ombre coraggiose si muovevano in una trincea di dolore.
Qualche sorriso,
era stanca la luce nei loro occhi cerchiati.
Grazie amici.
Nei vostri visi stravolti
trovo oggi il conforto di
un giorno per me diverso.
Ho imparato ad osservare i vostri gesti e i vostri sguardi,
ormai li conosco .
Li temo.
Li aspetto.
Li voglio interpretare.
Li capisco.
Forse respiro ancora.
Sì.
Lentamente
sto scendendo dalla mia croce.
Zanka Boskovic Coven
Opera 7^ classificata ex aequo
Il silenzio dal Bel Paese
La mia Italia sta morendo lentamente
Senza voce e senza rumore
Muoiono quelli le cui storie
Ci addormentavano nelle fredde sere d’inverno
La mia Italia sta scomparendo lentamente
Quella dietro le tovaglie ricamate
Delle mani piene di farina
Dei sorrisi sul viso della nostra gioventù
Stanno scomparendo le schiene chine
Che accompagnavano i nostri primi passi
Che ci insegnavano le prime sillabe
Le merende di pomodori secchi nelle mani
Sta scomparendo questa Italia di tutti gli odori
Basilico fresco e trecce di aglio
Sta scomparendo il profumo delle lenzuola inamidate
Stese sui balconi delle borgate
Lentamente e nel sacro silenzio
Se ne vanno gli eroi della nostra infanzia
Quelli che ci donavano tutto anche quando
Non c’era nulla da dare
Ed io sto in silenzio con il respiro tremolante
Non sono la figlia d’Italia, ma anche lo sono
Lei mi ha adottato
Nel suo caldo grembo mi ha protetto.